Caccia alla chimera Simmons

Come ogni preda leggendaria, Ben Simmons è introvabile. Secondo l’insider di Bleacher Report, Jake Fischer, i Philadelphia 76ers non sanno dove sia il loro playmaker.

La verità, come ammesso da Jake Fischer stesso, è che Ben Simmons è rimasto in contatto con la squadra senza però trovare un accordo a proposito di un programma di allenamento estivo.

Questa è solo l’ultima delle tante notizie (perlopiù gossip, come potete notare) sul giocatore australiano che, dal momento dell’uscita ai Playoff contro gli Atlanta Hawks, lo hanno visto protagonista di speculazioni sul suo futuro e, perlopiù, derisioni del suo presente.

Reduce dalla sua peggior performance in carriera in post-season, perlomeno in attacco, la chimera dei Sixers si trova a un bivio nella sua vita che sembra condurlo sempre più lontano dai riflettori della città dell’amore fraterno. Cosa è andato storto? E cosa ha portato migliaia di persone, fondamentalmente, ad odiarlo?

Partiamo dal presupposto che all’essere umano, le cose “strane” e fuori dall’ordinario o intrigano o spaventano. In questo caso, come sarà mia prerogativa dimostrare con altri esempi di unicorni nella lega (wink wink), Ben Simmons non è mai piaciuto alle grandi masse di tifosi NBA, soprattutto a quelli che lui stesso definirebbe “casuals”, termine in voga negli Stati Uniti per indicare coloro che sbandierano opinioni rivelatrici sul gioco dall’alto della loro esperienza di, appunto occasionali, telespettatori di partite NBA (c’è chi ha il coraggio di limitarsi alle highlights). Perché?

Innanzitutto perché ha un assurdo timore (a ragione si potrebbe dire incapacità, anche se mi piacerebbe dimostrare il contrario) di tirare. Per quanto ci siano sempre stati giocatori in grado di militare o addirittura prosperare nella lega americana senza una capacità di tiro affidabile, il suo è un caso più tragicomicamente lampante per più motivi:

1 – Ben Simmons sarebbe la point guard titolare dei Philadelphia 76ers. E pecca di una delle abilità fondamentali per gestire un attacco nella pallacanestro moderna, ovvero l’abilità di segnare dalla distanza con percentuali affidabili (che siano tiri da 2 o da 3) che di conseguenza gli permetterebbe di allargare il campo per gestire al meglio il team e di ampliarne le chances di fare canestro.

Simmons viene lasciato completamente solo dai Nets che, consci della sua mancanza al tiro, preferiscono collassare nell’area e impedire i movimenti degli altri giocatori dei Sixers.

Nonostante ciò, la scelta di fargli dirigere il gioco porta i suoi vantaggi (come saggiamente intuito dallo ex-coach Sixers Brett Brown). E qui arriva il punto 2.

2 – Ben Simmons è una chimera, un giocatore atipico in grado di destreggiarsi in mezzo alle difese avversarie, soprattutto in campo aperto, con un’abilità ed un eleganza nel palleggio e nei passaggi semplicemente inimmaginabile per un ragazzo di 110 chili per 2 metri e 10 centimetri. Rendiamoci conto: in un’ipotetica tabella di giocatori NBA dalle dimensioni simili alle sue troviamo centroni vecchio stile come Ivica Zubac, Tristan Thompson e Alex Len; non certo rinomati per la loro agilità o abilità nel palleggio (e coincidentalmente nemmeno al tiro).


Questo, oltre ad aver portato a speranzosi ed ovviamente prematuri paragoni con giocatori del calibro di Lebron James (con il quale Simmons, non a caso, ha sempre avuto un rapporto principe/re ben noto), ha fatto brillare gli occhi di molti tifosi ed analisti che vedevano in lui un potenziale infinito. Un giocatore con un tale controllo della propria imponente mole, votato al gioco di squadra, alla difesa e con un ottimo istinto per il passaggio vincente, rappresenta un pezzo in grado di sovvertire il rapporto tra i ruoli di quella complicata partita a scacchi sul parquet chiamata pallacanestro.

Nonostante la grande lacuna al tiro infatti Simmons in soli quattro anni nella NBA ha guadagnato il premio di Rookie of the Year, tre convocazioni all’All-Star Game, l’inserimento nel terzo miglior quintetto della lega (2020) e due volte nel miglior quintetto difensivo (2020, 2021), conducendo la classifica delle palle rubate nella stagione 19-20 e sfiorando quello che a detta di molti sarebbe potuto essere il suo premio di difensore dell’anno, affidato invece per la terza volta a Rudy Gobert.

Tralasciando inoltre i tanto amati record statistici americani superati da Ben tra i classici “più giovane in franchigia a registrare tot. assist e tot. rimbalzi nella notte di San Silvestro indossando una manica rossa sul braccio destro”, la sua giovane carriera non si può certo definire mediocre, anzi, farebbe sicuramente del giocatore meno blasonato il beniamino di turno. Ma sta proprio lì il problema.

Fresco di titoli altisonanti quali Mr. Basketball USA, first team All-American e Naismith Prep Player of the Year, Ben Simmons si è ritrovato a dover contribuire in via quasi istantanea al successo di una franchigia reduce da un decennio di penosi sacrifici, nel senso che hanno fatto letteralmente penare i tifosi della Pennsylvania, con stagioni da incubo votate al futuro (Trust The Process) come quella del ’15-’16, finita con 10 vittorie e 72 sconfitte, un omaggio speculare alla storica stagione degli imbattibili Bulls di Jordan del ’96.

Per quanto condividesse il palcoscenico con Joel Embiid, è chiaro come la rinomata voglia di rivincita e pressione mediatica di Philadelphia, sommata alle speranze di un’intera nazione sempre più invaghita della pallacanestro come l’Australia e un ambiente familiare complicato, lo abbiano portato a patire peggio di altri (lo stesso Embiid che dalle altrettante critiche e pressioni è invece riuscito a trarre vantaggio) il peso che gravava sulle sue spalle. Attualmente sembra quasi più legittimo immaginarselo come un futuro Draymond Green più che un Lebron James, senza aver ancora ovviamente raggiunto la mentalità vincente e la versatilità del primo né tantomeno del secondo.

E allora credo sia altrettanto opportuno ricordare come ci siano stati altri giocatori che, seppur non lontanamente gravati delle stesse aspettative del canguro di Melbourne, abbiano impiegato diversi anni per raggiungere performance comparabili statisticamente a quelle già raggiunte dalla creatura mitologica in questione, che viaggia con una rispettabile media di quasi 16 punti, 8 rimbalzi e 8 assist a partita. Ecco le medie complessive di altre chimere del gioco al loro quarto anno in NBA:15, 7, 4 per Giannis Antetokounmpo. 19, 8, 1 per Kristaps Porzingis. 16, 4, 3 per James Harden.

Ben conscio delle differenze di ruolo e minutaggio nella comparazione tra questi giocatori, è mia intenzione semplicemente provare a ribilanciare quella che è l’attuale negativa percezione comune di un buon giocatore che ha ancora la possibilità di elevarsi al livello delle altre chimere elencate, spesso poco apprezzate per la loro capacità di rappresentare un giocatore mai visto prima, scrollandosi di dosso le precoci aspettative di grandezza titanica.

Un posto nella mitologia lo può ancora conquistare.
Ai posteri l’ardua sentenza.

Vi lascio con quello che mi piace pensare sia stata una occasionale, seppur significativa, dimostrazione di come Simmons sia in realtà in grado di fare più di quanto gli venga dato credito quando gioca a cuor leggero:

Era il 2017, e tirava.

Ringrazio Raffaele Izzo per la grafica in copertina.

Design a site like this with WordPress.com
Get started